3717-25
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE
Composta da
PATRIZIA PICCIALLI
LUCIA VIGNALE
ALESSANDRO RANALDI
LOREDANA MICCICHE’
DAVIDE LAURO
– Presidente –
– Relatore –
Sent. n. sez. 1467/2024
UP – 04/12/2024
R.G.N. 22681/2024
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
*** nato a *** il ***
parti civili:
***
***
***
Inail ente pubblico
avverso la sentenza del 07/12/2023 della Corte d’appello di Palermo
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO RANALDI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore SABRINA PASSAFIUME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
uditi i difensori:
È presente l’avvocato AAA del foro di Palermo in difesa delle partì
civili ***, che deposita conclusioni scritte unitamente alla nota spese alle quali si riporta, chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
È presente l’avvocato *** del foro di *** in difesa di***, che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
- Con sentenza del 7.12.2023, la Corte di appello di ***, in parziale riforma della sentenza di primo grado, per quanto qui rileva ha rideterminato la pena irrogata a ***, confermando nel resto la declaratoria di responsabilità del medesimo per il reato di omicidio colposo in danno di ***, aggravato dalla violazione della normativa prevenzionistica.
In particolare, secondo i giudici di merito l’imputato si è reso colposamente responsabile del decesso del*** , lavoratore “in nero” presso la ditta dell’imputato, avvenuto in conseguenza delle gravi lesioni riportate a seguito della caduta da un ponteggio posto ad un’altezza di circa 7 metri, in mancanza dei prescritti dispositivi di protezione individuale.
- Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, lamentando (in sintesi, giusta il disposto di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.) quanto segue.
- I) Violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale disposto la rinnovazione parziale dell’istruttoria dibattimentale, mediante acquisizione della registrazione audio della conversazione avvenuta tra *** e ***, alla presenza di tale ***(marito della parte civile ***), sull’erroneo presupposto della mancata
assunzione testimoniale delle parti coinvolte e senza alcun vaglio in ordine alla genuinità della relativa trascrizione e alla identificazione dei soggetti coinvolti.
- II) Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 589, comma 2, cod. pen., per non avere considerato che l’anticipazione dell’orario di lavoro da parte della persona offesa costituisce comportamento abnorme del lavoratore, stante l’assenza del titolare, che avrebbe garantito l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, a fronte di un incidente la cui dinamica non è stata realmente chiarita in sede processuale.
III) Omessa assunzione di prova decisiva e vizio di motivazione, per non avere la Corte territoriale disposto perizia medico-legale al fine di accertare se fossero ravvisabili incongruità tecniche nella condotta dei sanitari che avevano avuto in cura la persona offesa nei giorni successivi all’infortunio, onde verificare l’effettiva ricorrenza del nesso causale fra la condotta del prevenuto e l’evento.
- IV) Mancato riconoscimento delle attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. , nonostante l’irrilevanza del precedente a carico, la ridotta capacità criminale e il positivo comportamento processuale da parte dell’imputato.
- La difesa della parte civile INAIL ha depositato memoria e conclusioni scritte con cui insiste per la reiezione del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
- Il ricorso, nel suo complesso, è ai limiti della inammissibilità, in quanto per buona parte contesta la ricostruzione in fatto operata dai giudici di merito e non si confronta specificamente con le motivazioni della sentenza impugnata, lacui motivazione, per contro, appare logica, congrua e priva di errori in diritto.
- Il primo motivo di ricorso è infondato.
Va premesso che, per giurisprudenza consolidata, la registrazione fonografica di colloqui tra presenti, eseguita d’iniziativa da uno degli interlocutori o da persona ammessa ad assistervi, costituisce una forma di memorizzazione di un fatto storico, integrante prova documentale ex art. 234 cod. proc. pen., come tale utilizzabile in dibattimento, e non intercettazione “ambientale” soggetta alla disciplina degli artt. 266 e ss. cod. proc. pen. (ex multis, Sez. U, n. 36747del 28/05/2003, Rv. 225466 – 01; Sez. 2, n. 46185 del 21/09/2022, Rv. 284226 – 02).
La Corte di appello ha legittimamente acquisito la registrazione della conversazione intercorsa il 22.11.2022 tra *** e ***, avvenuta ad opera di *** (cognato del ***), anch’egli presente al colloquio. Ciò ai sensi dell’art. 603, comma 2, cod. proc. pen., al fine di dirimere ogni perplessità circa la valutazione di attendibilità del teste ***, di cui la difesa dell’imputato sosteneva la piena credibilità, contrariamente aquanto ritenuto dal primo giudice. In primo grado, infatti, a seguito di confronto con *** , *** aveva dichiarato che al momento della caduta di ***egli non era presente in cantiere (mentre *** aveva dichiarato che *** era sul posto), che l’orario di lavoro andava dalle 8 alle 17 (mentre, secondo quanto riferito da *** , tutti arrivavano alle 7.10-7.15 e cominciavano a lavorare alle 7.30) e che vi erano i dispositivi di protezione sopra il capannone nonché quelli forniti dal datore di lavoro (contrariamente a quanto sostenuto da ***).
Si tratta, pertanto, di documento pienamente utilizzabile, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, il quale, nel caso in disamina, ne ha offerto una valutazione congrua e non manifestamente illogica, come tale insindacabile in cassazione.
- Il secondo motivo è inammissibile, in quanto sviluppa essenzialmente non consentite censure di merito, cercando di sollecitare una nuova e diversa valutazione degli elementi fattuali e delle inferenze prospettate da entrambi i giudici di merito in ordine alla responsabilità del *** , oltre ad essere reiterativo di doglianze già sollevate in grado d’appello, disattese con motivazione immune dai prospettati vizi di legittimità.
Le sentenze hanno accertato che *** era un dipendente dell’impresa individuale *** , assunto “in nero” (così come ***, costituitosi parte civile) per effettuare lavori di rimozione delle lastre eternit posate sulla copertura della scuderia cavalli, presso la villa ***, e sostituzione delle stesse con pannelli di cemento compressato.
Incontroversa è altresì la caduta dall’alto del lavoratore in data 4.5.2016, occorsa durante l’esecuzione dei lavori.
La difesa del ricorrente insiste nel sostenere che il datore di lavoro aveva messo a disposizione dei dipendenti (assunti in nero) i dispositivi di protezione individuali e che *** il 4.5.2016 non li aveva usati, sfuggendo al
controllo del datore di lavoro in quanto era salito sul tetto e aveva iniziato a lavorare prima dell’orario d’inizio concordato della giornata lavorativa, come dichiarato dal teste ***
Tali assunti risultano smentiti dalle conformi sentenze di merito, che hanno logicamente evidenziato l’inattendibilità del teste *** , motivandola con le palesi incongruenze del suo racconto e con la circostanza che nulla di quanto dichiarato dal medesimo in ordine alla propria formazione era risultata conforme a verità, visto che lo stesso non risultava né regolarmente assunto né aveva mai partecipato ad alcun corso di formazione. A ciò si è aggiunto il contenuto della registrazione audio dianzi accennata, relativa alla conversazione fra il ***e il *** , durante la quale il primo espressamente confessa di aver dovutorendere dichiarazioni poco fedeli per salvaguardare i propri interessi.
È noto che il giudizio di attendibilità di un teste è questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza
impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo “id quod plerumque accidit”, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità: tutte ipotesi non ricorrenti nel caso in esame.
- Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Si deve qui ribadire che la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova “neutro”, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l’articolo citato, attraverso il richiamo all’art. 495, comma 2, cod. proc.p en., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività (cfr. Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, Rv. 270936 – 01).
In ogni caso, e diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente, le sentenze di merito hanno plausibilmente ritenuto l’evento morte conseguenza diretta dell’infortunio (rigettando la richiesta di espletamento di una perizia medico-legale), con motivazione immune da censure. Sono state pacificamente accertate sia la caduta dall’alto di *** durante i lavori di sostituzione della copertura della scuderia, sia il fatto che egli giunse in Pronto Soccorso in codice rosso con diagnosi di politrauma: il decesso — come accertato dall’esperto dott. ***— avvenne in seguito alla comparsa di una disfunzione multiorgano, direttamente scatenata dall’importante trauma patito.
Nella specie, i giudici hanno correttamente applicato il principio secondo il quale, nel caso di lesioni personali (nella specie, provocate da infortunio sul lavoro) cui sia seguito il decesso della vittima, la colpa dei medici, anche se grave, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente – tale da interrompere il nesso causale ex articolo 41, comma secondo, cod. pen. – rispetto al comportamento dell’agente, perché questi, provocando tale evento (le lesioni), ha reso necessario l’intervento dei sanitari, la cui imperizia o negligenza non costituisce un fatto imprevedibile ed atipico, ma un’ipotesi che si inserisce nello sviluppo della serie causale (ex multis, Sez. 4, n. 41943 del 04/10/2006, Rv. 235537 – 01; in motivazione la Corte ha altresì precisato che, mentre è possibile escludere il nesso causale in situazioni di colpa commissiva addebitabili ai sanitari, nel caso di omissioni di terapie che dovevano essere applicate per impedire le complicanze, l’errore del medico non può prescindere dall’evento che ha fatto sorgere la necessità della prestazione sanitaria, per cui la “catena causale” resta integra).
- Il quarto motivo è privo di pregio, essendo noto che la concessione o il diniego delle circostanze attenuanti generiche costituisce esplicazione di un potere discrezionale del giudice di merito, non censurabile in cassazione se non in quanto sorretto da motivazione inficiata da manifesta illogicità o mancante.
Tale evenienza non ricorre nel caso in disamina, avendo la Corte di appello motivatamente negato il beneficio in ragione dell’elevato grado della colpa e della oggettiva gravità dei fatti.
- Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio di legittimità dalle parti civili ***, ***e ***, liquidate come da dispositivo.
6.1. Si ritiene, invece, che non vadano liquidate le spese in favore della parte civile Inail, il cui difensore ha fatto pervenire memoria e conclusioni scritte, senza poi comparire alla odierna pubblica udienza.
Ciò conformemente al dictum — recentemente ribadito dalle Sezioni Unite — secondo cui nel giudizio di cassazione con trattazione orale non va disposta la condanna dell’imputato al rimborso delle spese processuali in favore della parte civile che non sia intervenuta nella discussione in pubblica udienza, ma si sia limitata a formulare la richiesta di condanna mediante il deposito di una memoria in cancelleria con l’allegazione di nota spese (Sez. U, n. 27727 del 14/12/2023 – dep. 2024, Rv. 286581 – 03).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili in questo
giudizio di legittimità così liquidate: euro 4.800,00, oltre accessori come per
legge, in favore di ***, *** e ***.
Così deciso il 4 dicembre 2024