Con sentenza n. 9312, pronunciata all’udienza del 3 novembre 2023 e depositata il 5 marzo 2024), la terza sezione della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del Procuratore della Repubblica, che aveva eccepito la violazione di legge per mancata applicazione delle pene accessorie di cui all’art. 609-nonies cod. pen.  in relazione ad una sentenza di condanna per maltrattamenti e tentata violenza sessuale

Sosteneva il rappresentante della pubblica accusa la compatibilità delle pene accessorie, da contenere in anni due, con il tentativo e con la sospensione condizionale della pena.

Tale prospettazione viene però ritenuta infondata dai giudici di legittimità, i quali ritengono che la disposizione di cui art. 609-nonies c.p. riguardi i delitti consumati e non tentati.

Ed infatti: “Considerata la particolare invasività di queste sanzioni, non basta a giustificare la loro estensione l’identità di ratio iuris. Ancora una volta, sembrerebbe conclusione vitanda quia absurda prevedere un’automatica applicazione delle pene accessorie per fattispecie tentate che possono arrivare, in concreto, a pene inferiori a quelle previste per l’adescamento di minori di cui all’art. 609-undecies cod. pen.”.

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Cass. pen., sez. III, ud. 3 novembre 2023 (dep. 5 marzo 2024), n. 9312

Presidente Gentili – Relatrice Macrì

Ritenuto in fatto

  1. Con sentenza in data 7 settembre 2023 il GUP del Tribunale di Urbino ha condannato l’imputato alle pene di legge per maltrattamenti, in essi assorbite le percosse, e tentata violenza sessuale aggravata ai danni della moglie.
  2. Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Urbino che eccepisce la violazione di legge per mancata applicazione delle pene accessorie di cui all’art. 609-nonies cod. pen. da contenersi in anni due, in corrispondenza della pena principale, ai sensi dell’art. 37 cod. pen. Sostiene la compatibilità delle pene accessorie con il tentativo e con il beneficio della sospensione condizionale della pena.

Considerato in diritto

  1. Il ricorso è infondato.

L’art. 609-nonies cod. pen., recante la disciplina delle “Pene accessorie ed altri effetti penali”, stabilisce che la condanna o l’applicazione della pena su richiesta delle parti, ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale per alcuno dei delitti previsti dagli art. 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 609-undecies comporta l’applicazione di una serie di pene accessorie; la condanna o l’applicazione della pena su richiesta delle parti, ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, per alcuno dei delitti previsti dagli art. 609-bis, 609-ter, 609-octies e 609-undecies, se commessi nei confronti di una persona che non ha compiuto gli anni diciotto, 609-quater, 609-quinquies, comporta in ogni caso l’interdizione perpetua da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado nonché da ogni ufficio o servizio in istituzioni o in altre strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori; la condanna per i delitti previsti dall’art. 600-bis, secondo comma, dall’art. 609-bis, nelle ipotesi aggravate di cui all’art. 609-ter, dagli art. 609-quater, 609-quinquies e 609-octies, nelle ipotesi aggravate di cui al terzo comma del medesimo articolo, comporta, dopo l’esecuzione della pena e per una durata minima di un anno, l’applicazione di una serie di misure di sicurezza personali e prevede la pena della reclusione fino a tre anni in caso di violazione.

La norma si riferisce ai “delitti” da intendersi come consumati e non tentati.

Il delitto tentato rappresenta un minus rispetto al delitto consumato ed è quindi un delitto di “minor grado”, sebbene comunque perfetto, perché dotato di tutti gli elementi necessari per l’esistenza del reato, cioè del fatto tipico, dell’antigiuridicità e della colpevolezza. Sul piano normativo, costituisce un titolo autonomo di reato, caratterizzato da un profilo offensivo ad esso proprio, pur nascendo dalla combinazione dell’art. 56 cod. pen. con la norma del delitto consumato e pur conservando lo stesso nomen juris di questo. Il riconoscimento dell’autonomia giuridica del delitto tentato ha varie implicazioni, la prima delle quali è che gli effetti giuridici riconnessi dalla norma penale alla consumazione non possono essere automaticamente estesi alla figura del delitto tentato.

Con questa consapevolezza, la dottrina, che ha a lungo dibattuto sull’applicabilità delle pene accessorie al tentativo, sembra essersi assestata, almeno da quarant’anni, intorno all’idea che il problema non può essere affrontato in via generale e in termini unitari, ma ammette soluzioni differenziate in rapporto a parametri diversi.

La giurisprudenza, invece, ha per lo più optato per una soluzione positiva, ancorata alla funzione repressiva del tentativo, in considerazione dell’allarme sociale dello specifico reato, e quindi della medesima ratio iuris sottesa alla punizione del delitto consumato.

Nei repertori di giurisprudenza si rinvengono sentenze almeno dagli anni ’60 del secolo scorso che ammettono pacificamente l’interdizione dai pubblici uffici in caso di tentata concussione: si vedano, sent. 29/10/1963, in C. pen., Mass., 64, 211; sent. 28/1/1971, in Giust. Pen., 72, 830; sent. 16/12/1981, in C. pen., 83, 307, si vedano poi Sez. 6, n. 97 del 28/01/1971, Gheis, Rv. 118331 – 01; n. 9192 del 09/04/1980, Carone, Rv. 145898-01; n. 8148 del 26/03/1992, Pellegrini, Rv. 191402-01. Questa Sezione ha ammesso la pena accessoria della pubblicazione della sentenza anche in ipotesi di frode nell’esercizio del commercio solo tentata (Sez. 3, n. 2196 del 14/05/1996, Volpe, Rv. 206268-01 e n. 24190 del 24/05/2005, Baia, Rv. 231947-01 che cita una sentenza del 20 novembre 1964, Palucisano). Analogamente, più di recente, la Sezione Prima ha applicato il medesimo principio in un caso di rimozione del grado, sanzione accessoria prevista obbligatoriamente in caso di condanna per il delitto di furto militare dall’art. 230, comma 3 c.p.m.p.  (Sez. 1, n. 12295 del 08/10/2019, dep. 2020, Todaro, Rv. 278627-01), mentre la Sezione Terza lo ha applicato in due casi di violenza sessuale tentata (Sez. 3, n. 52637 del 11/07/2017, Z., Rv. 271858-01; n. 52637 del 03/11/2021, dep. 2022, V., non mass.; n. 26479 del 05/04/2022, F., Rv. 283301-01;), sempre sul presupposto dell’identità di esigenze da tutelare tra delitto tentato e delitto consumato.

Tuttavia, già nella sentenza Sez. 3, n. 25799 del 01/07/2016, dep. 2017, B., Rv. 270416 – 01, questa Corte ha affermato che le misure di sicurezza personali previste dall’art. 609-nonies, terzo comma, cod. pen. sono applicabili solo nel caso di condanna per le fattispecie consumate ivi previste e non anche per le corrispondenti ipotesi tentate. Infatti, anche a voler prescindere dalla rigorosa interpretazione della norma, considerato che la misura di sicurezza si applica nelle fattispecie aggravate, ammettere che operi per il delitto tentato, significherebbe punire più gravemente una tentata violenza sessuale aggravata che una violenza sessuale consumata ma non aggravata, il che sarebbe una conclusione vitanda quia absurda (così in motivazione).

Nella sentenza a Sezioni Unite Suraci (sent. n. 28910 del 28/02/2019, Rv. 276286-01), la Corte, chiamata a decidere della discrezionalità del giudice nell’indicazione delle pene accessorie, dopo aver ricostruito la disciplina a partire dal Codice Rocco (par. 7) e aver dato conto delle pronunce della Corte costituzionale (par. 4 e 9), ha osservato che, nel sistema sanzionatorio, le pene accessorie hanno certamente una loro propria autonomia, conclusione ulteriormente confermata dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3, che ha rafforzato gli strumenti repressivi e preventivi dei reati contro la pubblica amministrazione, anche incidendo sulle pene accessorie, allargando la platea dei reati che ne determinano l’applicazione, aggravando la loro durata, prevedendone l’irrogazione anche nei casi di pena già espiata, pena condizionalmente sospesa e pena patteggiata, distinguendo i requisiti temporali di accesso alla riabilitazione per le pene accessorie rispetto a quelli valevoli per la pena principale e inibendo l’operatività su quelle di durata perpetua dell’effetto estintivo conseguente all’esito positivo dell’affidamento in prova. Le Sezioni Unite hanno ricordato che, secondo l’opinione più accreditata in dottrina, le pene principali svolgono funzioni retributive, preventive di carattere generale e speciale, nonché rieducative mediante la sottoposizione al trattamento orientato al graduale reinserimento sociale del condannato; le pene accessorie, specie quelle interdittive e inabilitative, collegate al compimento di condotte postulanti lo svolgimento di determinati incarichi o attività, sono più marcatamente orientate a fini di prevenzione speciale, oltre che di rieducazione personale, che realizzano mediante il forzato allontanamento del reo dal medesimo contesto operativo, professionale, economico e sociale, nel quale sono maturati i fatti criminosi e dallo stimolo alla violazione dei precetti penali per impedirgli di reiterare reati in futuro e per sortirne l’emenda. Hanno concluso che, proprio per la piena realizzazione dello specifico finalismo preventivo, cui sono preordinate le pene complementari, è necessaria una loro modulazione personalizzata in correlazione con il disvalore del fatto di reato e con la personalità del responsabile, che non necessariamente deve riprodurre la durata della pena principale (par. 9), formulando il seguente principio di diritto: «Le pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen.».

Reputa il Collegio, anche alla luce delle considerazioni svolte dalle Sezioni Unite sulla natura delle pene accessorie, e in continuità con il precedente di questa Sezione n. 25799 del 2016, cit., relativo alle misure di sicurezza, che non sia possibile applicare le pene accessorie anche alle fattispecie tentate dei reati di natura sessuale. Considerata la particolare invasività di queste sanzioni, non basta a giustificare la loro estensione l’identità di ratio iuris. Ancora una volta, sembrerebbe conclusione vitanda quia absurda prevedere un’automatica applicazione delle pene accessorie per fattispecie tentate che possono arrivare, in concreto, a pene inferiori a quelle previste per l’adescamento di minori di cui all’art. 609-undecies cod. pen. Sembrerebbe offrire una conferma di tale conclusione, poi, il comma quinto dell’art. 165 cod. pen. , relativo agli obblighi del condannato, introdotto dalla legge 19 luglio 2019, n. 69, cosiddetto Codice rosso, e ulteriormente modificato dall’art. 2, comma 13, legge 27 settembre 2021, n. 134 e dall’art. 15, comma 1, della legge 24 novembre 2023, n. 168, laddove prevede, quale condizione necessarie ai fini dell’accesso al beneficio della sospensione condizionale della pena, la partecipazione a specifici corsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i reati dell’art. 575 cod. pen. nella forma tentata o per i delitti consumati o tentati di cui agli art. 572, da 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612-bis nonché degli art. 582 e 583-quinquies nelle ipotesi aggravate. La norma ha infatti specificamente distinto i delitti consumati e tentati, estendendo anche a questi l’adempimento delle prescrizioni accessorie al beneficio della sospensione condizionale della pena.

In definitiva, si ritiene, considerata la pervasività delle pene accessorie e la diversificata gamma di reati sessuali, che non si possa estendere l’applicazione automatica delle pene accessorie dell’art. 609-nonies cod. pen. alle fattispecie tentate, in assenza di specifica previsione normativa.

Il ricorso del Pubblico ministero va, pertanto, rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 D.L.gs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.