Con sentenza 5647 depositata ieri, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un uomo, condannato nei primi due gradi di giudizio per il reato di tentata rapina in un supermercato ai danni della guardia giurata.

In particolare, era stato contestato all’imputato di aver rivolto al vigilante la frase sopra indicata, ritenuta minatoria dai Giudici di merito.

La Suprema Corte condivide invece il ricorso dell’imputato, affermando che: “la frase rivolta dal M., ritualmente riportata nell’imputazione, all’indirizzo del vigilante dell’esercizio commerciale appare priva di concreta ed effettiva valenza intimidatoria”

Ciò in quanto “ è notorio che tale patologia non è trasmissibile per mero contatto fisico, occorrendo il contatto con il plasma infetto, così che, avere rappresentato all’addetto alla vigilanza la possibilità di contagio per mero contatto non può comportare alcun concreto effetto intimidatorio.”.

La sentenza impugnata viene quindi annullata e, qualificato il fatto in furto aggravato dall’esposizione alle pubblica fede, viene disposto il rinvio alla corte d’appello per la necessaria determinazione della pena.

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Cass. pen., sez. II, ud. 14 gennaio 2022 (dep. 17 febbraio 2022), n. 5647

Presidente Verga – Relatore Pardo

Ritenuto in fatto

1.1 Con sentenza in data 11 marzo 2021, la corte di appello di Roma, confermava la pronuncia del tribunale monocratico di Roma del 22 settembre 2020 che aveva condannato M.M. alle pene di legge perché ritenuto colpevole di tentata rapina di merce sottratta all’interno di un supermercato. In particolare al M. era stato contestato di essersi rivolto con fare minaccioso all’indirizzo del vigilante del supermercato (omissis) che lo aveva bloccato al momento della sottrazione di numerosa merce al pagamento rivolgendogli l’espressione:” tanto non mi puoi fare un ca… perché ho l’aids e se mi tocchi ti contagio”.

1.2 Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato che, con unico motivo qui riassunto ex art. 173 disp. att. c.p.p., lamentava violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione alla ritenuta portata minacciosa della frase rivolta dal ricorrente all’indirizzo del vigilante, che si assumeva essere priva di valenza intimidatoria, e, con la quale, si era soltanto comunicato il proprio reale stato patologico; inoltre, si deduceva ancora che non potesse valere ai fini della qualificazione dei fatti il comportamento successivo il fermo del ricorrente, il quale doveva ritenersi avere agito al solo fine di impedire condotte aggressive in suo danno come dimostrato anche dall’arresto in flagranza avvenuto sul piazzale del parcheggio del supermercato.

Considerato in diritto

2.1 Il ricorso è fondato e deve, pertanto, essere accolto.

In tema di minaccia quale elemento costitutivo della fattispecie di cui all’art. 628 c.p. questa Corte di cassazione ha prima affermato come per la configurabilità del reato di rapina (art. 628 c.p.), ad integrare l’elemento della minaccia è sufficiente qualsiasi comportamento o atteggiamento verso il soggetto passivo idoneo ad incutere timore e a suscitare la preoccupazione di un danno ingiusto (Sez. 7, Ordinanza n. 35619 del 12/07/2006 Rv. 234869 01). Più recentemente è stato ripetutamente ribadito come la minaccia necessaria ad integrare l’elemento oggettivo della rapina può consistere in qualsiasi comportamento deciso, perentorio e univoco dell’agente che sia astrattamente idoneo a produrre l’effetto di turbare o diminuire la libertà psichica e morale del soggetto passivo (Sez. 2, n. 48955 del 11/09/2019 Rv. 277783 01).

Orbene, l’applicazione dei sopra esposti principi in tema di serietà ed univoca conducenza dell’intimidazione a coartare l’altrui libertà di determinazione sino a comprimerla totalmente, determinano l’esclusione della contestata fattispecie nel caso in esame; invero, la frase rivolta dal M., ritualmente riportata nell’imputazione, all’indirizzo del vigilante dell’esercizio commerciale appare priva di concreta ed effettiva valenza intimidatoria; nel capo di imputazione viene infatti contestata la fattispecie di rapina in relazione alla minaccia che M. avrebbe rivolto all’indirizzo della vittima, dopo l’impossessamento di beni dal supermercato, rappresentando allo stesso l’impossibilità di essere fisicamente bloccato perché, un’azione del genere, avrebbe esposto il vigilante al contagio dell’AIDS, sindrome da immunodeficienza da cui risultava affetto lo stesso ricorrente.

Orbene, è notorio che tale patologia non è trasmissibile per mero contatto fisico, occorrendo il contatto con il plasma infetto, così che, avere rappresentato all’addetto alla vigilanza la possibilità di contagio per mero contatto non può comportare alcun concreto effetto intimidatorio.

Nè può valere a qualificare ex art. 628 c.p., la condotta successiva posta in essere dallo stesso M. che, peraltro, sarebbe comunque priva di rituale contestazione; invero la sentenza di appello da atto che dopo l’alterco il M., senza porre in essere alcuna azione violenta, abbandonava la merce e si allontanava in direzione della vicina stazione ferroviaria ove veniva immediatamente tratto in arresto dalla Polizia allertata proprio dal vigilante.

Ne deriva affermare che nè in occasione dell’alterco all’interno del supermercato nè immediatamente dopo, M.      abbia posto in essere azioni violente o minacciose tali da potere concretamente arrecare danno alla sfera psicologica della vittima od alla sua integrità fisica.

I fatti devono pertanto essere ricondotti all’ipotesi del furto aggravato; invero deve farsi applicazione del principio secondo cui sussiste l’aggravante di cui all’art. 625 c.p., comma 1, n. 7, – “sub specie” di esposizione della cosa per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede.- nel caso in cui il soggetto attivo si impossessi della merce sottratta dai banchi di un supermercato, considerato che nei supermercati – in cui la scelta delle merci avviene con il sistema del “self service” – la vigilanza praticata dagli addetti è priva di carattere continuativo e si connota come occasionale e/o a campione, mentre l’esclusione dell’aggravante in questione richiede che sulla cosa sia esercitata una custodia continua e diretta, non essendo sufficiente, a tal fine, una vigilanza generica, saltuaria ed eventuale (Sez. 5, n. 6416 del 14/11/2014 Rv. 262663 – 01).

I fatti devono pertanto essere qualificati come ipotesi di furto aggravato dall’esposizione alla pubblica fede e dalla contestata recidiva e, disposto l’annullamento con rinvio dell’impugnata pronuncia, gli atti trasmessi ad altra sezione della corte di appello di Roma per la determinazione della pena.

P.Q.M.

Qualificati il fatto ex art. 624 c.p. e art. 625 c.p., n. 7 annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Roma per la determinazione della pena.