Il 18.12.2020 la VI sezione penale della Cassazione ha depositato la sentenza 36518/2020, con la quale ha parzialmente accolto il ricorso proposto in una particolare vicenda.

Tizio, sottoposto agli arresti domiciliari, a seguito dei continui litigi con la moglie usciva dall’abitazione, senza autorizzazione del Giudice e si recava nella locale Caserma dei Carabinieri (ubicata a poca distanza), chiedendo di essere tradotto in carcere.

Condannato per evasione, Tizio si rivolgeva quindi alla Cassazione e sosteneva l’insussistenza del reato per mancanza di offensività.

In subordine, veniva dispiegata richiesta di riconoscimento della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cp (particolare tenuità del fatto).

Il primo motivo di ricorso viene disatteso dal supremo Collegio che – dopo aver dato atto di un contrasto interpretativo in merito all’ipotesi in cui il soggetto ristretto ai domiciliari si rechi dalle Forze dell’ordine, chiedendo di esser tradotto in carcere – sostiene la sussistenza dell’evasione, trattandosi di reato sorretto dal dolo generico.

Conseguentemente, per integrare detto delitto basta la coscienza e volontà di allontanarsi dal luogo di restrizione (in assenza di un provvedimento autorizzativo), essendo invece irrilevanti le sottese finalità soggettive.

Viene invece accolto il secondo motivo, per cui il fatto – pur costituendo reato – non è punibile, sussistendo i presupposti di cui all’indicata norma.


Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 27 ottobre – 18 dicembre 2020, n. 36518
Presidente Bricchetti – Relatore Amoroso

Ritenuto in fatto

1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Crotone emessa in data 24/10/2017, previo riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alla contestata recidiva, ha ridotto a mesi due e giorni venti di reclusione la pena inflitta al ricorrente, condannato per il reato di evasione commesso in data 13/09/2017.
2. Con atto a firma del difensore di fiducia, Ro. Gi. ha proposto ricorso, articolando due motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo si deduce vizio della motivazione ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc.pen. per non avere la Corte territoriale dato il giusto rilievo alla circostanza di fatto che l’imputato non è stato trovato fuori dalla propria abitazione, ma si è presentato personalmente presso la caserma dei Carabinieri, distante poche centinaia di metri dalla propria abitazione per segnalare la sua volontà di non proseguire la convivenza con la moglie a causa di un litigio.
Secondo il ricorrente l’allontanamento dall’abitazione non essendo stato dettata dalla finalità di sottrarsi al controllo dell’autorità non potrebbe integrare il reato di evasione per l’assenza di offensività della condotta.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione per la illogicità della motivazione con la quale la Corte di appello ha rigettato la richiesta di applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen.
La decisione della Corte territoriale viene ritenuta erronea perché parziale e priva di coerenza rispetto alla valutazione del profilo dell’intensità del dolo e dell’offesa arrecata, perché motivata solo sulla considerazione del fatto incerto che l’imputato si fosse recato direttamente e subito presso la caserma dei Carabinieri dopo essere uscito e sull’arbitrarietà della condotta.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo di ricorso è infondato, mentre deve essere accolto il secondo motivo.
Integra il reato di evasione la condotta di volontario allontanamento dal luogo di restrizione domiciliare e di presentazione presso la stazione dei Carabinieri ancorché per chiedere di essere ricondotto in carcere, in quanto il dolo generico del reato richiede la mera consapevolezza e volontà di allontanarsi dal domicilio. (Fattispecie nella quale l’imputato si allontanava dal domicilio per recarsi in caserma, rappresentando l’insostenibilità della convivenza con il padre e la volontà di rientrare in carcere).
Con riferimento al caso in cui l’imputato si allontani dal domicilio per recarsi in caserma e rappresentare l’insostenibilità della convivenza con i familiari la volontà di rientrare in carcere e di porre fine al regime degli arresti domicliari, si sono registrati due opposti orientamenti.
Il primo, maggioritario, secondo il quale il dolo del reato di evasione per abbandono del luogo degli arresti domiciliari è generico, essendo necessaria e sufficiente – in assenza di autorizzazione – la volontà di allontanamento nella consapevolezza del provvedimento restrittivo a proprio carico, non rivestendo alcuna importanza lo scopo che l’agente si propone con la sua azione (Sez. 6 – , n. 52496 del 03/10/2018, Natale Felice, Rv. 274295; Sez. 6, n. 7842 del 01/06/2000, Vernucci R., Rv. 217557; Sez. 6, n. 19639 del 09/01/2004, Conti, Rv. 228315; Sez. 6, n. 10425 del 06/03/2012, Ghouila, Rv. 252288).
Il secondo l’orientamento minoritario secondo cui “in tema di evasione, deve ritenersi insussistente il dolo nella condotta di colui che, trovandosi agli arresti domiciliari presso la propria abitazione, se ne allontani per recarsi, per la via più diretta, alla stazione dei Carabinieri (Sez. 6, n. 25583 del 05/02/2013, Giannone, Rv. 256806) e, ancora, “non integra il delitto di evasione la condotta di chi, trovandosi in stato di detenzione domiciliare, si allontani dalla propria abitazione per farsi trovare al di fuori di essa in attesa dei carabinieri, prontamente informati della sua intenzione di volere andare in carcere” (Sez. 6, n. 44595 del 06/10/2015, Ranieri, Rv. 265451). Ciò perché deve essere esclusa ogni offensività concreta, ex art. 49, comma secondo, cod. pen., nella condotta dell’imputato, mai sottrattosi alla possibilità di controllo da parte dell’autorità tenuta alla vigilanza.
Tra i due orientamenti questo Collegio ritiene preferibile quello maggioritario, non reputando rilevante né le motivazioni né lo scopo dell’allontanamento, perchè il reato di evasione richiede il dolo generico costituito dalla coscienza e volontà di allontanarsi dal domicilio, indipendentemente dai motivi per la irrilevanza delle valutazioni del soggetto che vi è sottoposto, non potendosi rimettere al suo arbitrio la scelta della misura cautelare.
2. Il secondo motivo è, invece, fondato.
La Corte di merito dopo aver riconosciuto la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla recidiva, ha escluso la possibilità di ravvisare la causa di non punibilità per tenuità del fatto sulla base della ritenuta incertezza del fatto, nel senso che non sarebbe certo che l’imputato si sia immediatamente recato in caserma dopo essere uscito dalla propria abitazione.
Tale considerazione è viziata per illogicità manifesta.
Innanzitutto, perché non risponde ad una logica ricostruzione del fatto il comportamento alternativo che si assume possibile, ovvero che l’imputato dopo essere evaso avrebbe raggiunto la caserma per autodenunciarsi senza una ragione plausibile, neppure ipoteticamente rappresentata.
La peculiarità delle modalità con cui si è concretizzata l’evasione non legittima sul piano della logica una tale ipotetica alternativa lettura di merito.
In secondo luogo, l’incertezza ravvisata nella ricostruzione del fatto non giustifica le conseguenze sfavorevoli per l’imputato che ne sono state tratte.
L’ipotesi di una evasione per scopi diversi da quelli dichiarati dall’imputato confligge con la stessa descrizione del fatto contenuta nel capo di imputazione, in cui l’allontanamento viene descritto in modo corrispondente alla versione resa dall’imputato.
Solo il concreto accertamento di una diversa finalità dell’evasione da quelle contestata nel capo di imputazione avrebbe potuto dare un fondamento logico alla decisione adottata dalla Corte territoriale di escludere la tenuità del fatto.
Nel caso in esame, caduta la ragione di fatto con cui è stato giustificato il diniego della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., si deve rilevare come dalla stessa sentenza impugnata si possa evincere, senza necessità di ulteriori accertamenti di merito, la sussistenza di tutti i presupposti per la sua applicazione, essendo stata già assodata la minima offensività della condotta di evasione, per la breve durata in cui l’imputato si è allontanato dal luogo degli arresti domiciliari al solo ed unico fine di sottoporsi al controllo diretto delle forze di polizia, non trattandosi di comportamento abituale, né essendo state ravvisate le altre condizioni soggettive ostative previste dall’art. 131-bis cod. pen.
Si deve osservare che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis cod. pen., può essere rilevata nel giudizio di legittimità, quando risulti dedotta nei motivi di appello e sempre che i presupposti per la sua applicazione siano immediatamente rilevabili dagli atti e non siano necessari ulteriori accertamenti fattuali a tal fine, conformemente a quanto previsto dall’art. 620 lett. I), cod. proc. pen. che consente alla Corte di cassazione di decidere quando non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto ed appaia evidente la superfluità del rinvio al giudice di merito (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj Rv. 266589; Sez. 2, n.49446 del 03/10/2018, Zingari, Rv. 274476; Sez. 1, n. 27752 del 09/05/2017, Rv. 270271).
In conclusione, deve disporsi l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non è punibile ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è punibile per la particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen.