Ancora una volta la Cassazione ribadisce (Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 1 luglio – 17 settembre 2020, n. 19323 – in calce) che ogni decisione dei Giudici in ordine all’affidamento e collocamento dei figli minori debba essere improntata all’esclusivo interesse del medesimo, come previsto dall’art. 337-ter c.c.

Di norma, occorre quindi dare  attuazione alla c.d. “bigenitorialità”, ossia consentire la presenza di entrambi i genitori nella vita del figlio, onde consentire a quest’ultimo di mantenere dei seri legami stabili con ciascuno di essi.

Ciò è ovviamente possibile ove il Tribunale, a seguito di un approfondito giudizio prognostico  (da effettuare caso per caso), si convinca dell’idoneità della madre e del padre ad adempiere ai propri delicati compiti genitoriali nel nuovo contesto generatosi dopo la disgregazione dell’intesa di coppia, sempre nel precipuo interesse della prole.

Nella loro discrezionalità, i Giudici dovranno tener conto delle peculiarità della vicenda concreta, valutando come i genitori si siano comportati in passato, il legame dagli stessi creato con i figli, il tipo di educazione impartita, la personalità della madre e del padre, le loro abitudini, l’ambiente sociale in cui vivrebbero col figlio.

Ove non sussistano particolari problemi, pertanto, la frequentazione dei genitori dovrebbe essere tendenzialmente “alla pari”, giacché si ritiene che tale soluzione attenui le sofferenze per il minore, già provato dalla disgregazione familiare.

Tuttavia, il Tribunale potrà adottare una diversa soluzione, allorquando ravvisi situazioni che possano determinare disagi al minore, quali – ad esempio – quelli derivanti da una lunga distanza tra le città ove vivono i genitori (per cui il figlio sarebbe esposto a lunghi viaggi che richiedono tempi incompatibili con gli studi o con i suoi interessi personali, sportivi o ricreativi).

In tali evenienze, ancora una volta, bisogna privilegiare il benessere della prole, che indubbiamente si erge a “criterio-principe” nelle scelte del Giudicante.

In definitiva: l’affidamento condiviso è “il regime ordinario della condizione filiale nella crisi della famiglia”, non derogabile neanche in caso di grave conflittualità tra i genitori, ma solo ed esclusivamente laddove risulti “pregiudizievole per l’interesse del minore”, nel caso concreto.


Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 1 luglio – 17 settembre 2020, n. 19323
Presidente Genovese – Relatore Pazzi

Fatti di causa

1. T.M. , padre del minore T.B. , ricorre per cassazione avverso l’epigrafato decreto con il quale la Corte d’appello di Genova, adita dalla madre collocataria R.V. , ha proceduto a modificare parzialmente le disposizioni già adottate in sede di affidamento condiviso dal giudice di primo grado circa tempi e modi della presenza di B. presso il genitore, ravvisandone l’opportunità sia in funzione “dell’interesse del minore, il quale deve potere fare fronte agli impegni scolastici con la massima serenità e con i giusti tempi di riposo… oltre a potere sviluppare la sua vita di relazione, che si traduce in impegni extrascolastici e sportivi nel luogo ove è residente”, sia in funzione dell’esigenza espressa dalla reclamante di “poter trascorrere fine settimana alternati con il figlio, al fine di poter incrementare il suo rapporto con lui con l’organizzazione di un tempo continuato da trascorrere con lo stesso, secondo quanto previsto dall’art. 337-ter c.c.”.
Nella specie il decidente, a rettifica delle disposizioni adottate in sede di affidamento, che prevedevano che il minore trascorresse tutti i fine settimana con il padre e la giornata di mercoledì, ha perciò statuito che il minore trascorra “fine settimana alternati” con la madre e che il T. , nelle settimane in cui non avrà con sé il figlio, possa tenere con sé il bambino “due giorni infasettimanali, il martedì ed il giovedì”.
Nell’occasione la Corte d’appello ha anche respinto il reclamo incidentale del T. inteso a rivedere l’obbligo di mantenimento a suo carico stabilito dal primo giudice in Euro 250,00 mensili, poiché esso “ancor di più si giustifica con le nuove modalità di frequentazione tra i genitori ed il minore, le cui esigenze non potranno non aumentare nel tempo, e che dovrebbe essere percepito come un diritto… piuttosto che come un dovere”.
Il mezzo proposto, illustrato da memoria, si vale di due motivi di ricorso ai quali resiste con controricorso l’intimata.

Ragioni della decisione

2.1 Con il primo motivo di ricorso, declinato a mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il T. lamenta, in pari tempo, la violazione dell’art. 337-ter c.c., poiché, contrariamente alle determinazioni adottate dal decidente in punto di permanenza del minore presso di sé, il criterio della bigenitorialità, quale modello di regolamentazione del rapporto tra genitori e figli, e l’affidamento condiviso disposto nella specie postulano, da un lato, “la determinazione di tempi di frequentazione in misura tendenzialmente paritetica rispetto a quelli di permanenza presso il genitore collocatario” e, dall’altro, “il necessario giudizio prognostico teso a valutare, nell’esclusivo interesse morale e materiale del figlio, le capacità dei genitori di crescerlo ed educarlo nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione”, giudizio da cui il decidente si era nel caso esame astenuto; nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, non avendo la Corte d’Appello “tenuto conto della centralità della figura paterna” tra i riferimenti affettivi e relazionali del minore, secondo quanto risultante dalle relazioni a suo tempo predisposte dal Servizio Sociale del Comune di Massa e neppure “del suo radicamento affettivo (fratello) e sociale (attività sportiva) nel luogo di residenza del padre”.
2.2 Il motivo è in parte infondato e parte inammissibile.
Infondato lo è nell’allegazione del denunciato errore di diritto.
È pur vero che in tema di affidamento questa Corte ripete da tempo, reiterando un insegnamento già affermatosi in vigenza dell’art. 155 c.c., che il criterio fondamentale, cui deve attenersi il giudice a mente dell’art. 337-ter c.c., è costituito dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole, il quale, imponendo di privilegiare la soluzione che appaia più idonea a ridurre al massimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore, richiede un giudizio prognostico circa la capacità del singolo genitore di crescere ed educare il figlio, da esprimersi sulla base di elementi concreti attinenti alle modalità con cui ciascuno in passato ha svolto il proprio ruolo, con particolare riguardo alla capacità di relazione affettiva, nonché mediante l’apprezzamento della personalità del genitore (Cass., Sez. VI-I, 19/07/2016, n. 14728; Cass., Sez. VI-I, 23/09/2015, n. 18817; Cass., Sez. I, 27/06/2006, n. 14480); e, in coerenza con questa premessa, che la regola dell’affidamento condiviso si rivela perciò la scelta tendenzialmente preferenziale (Cass., Sez. I, 6/03/2019, n. 6535) onde garantire il diritto del minore “di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori”, tanto che, avendo in tal modo dimostrato il legislatore di ritenere che l’affidamento condiviso costituisca il regime ordinario della condizione filiale nella crisi della famiglia (Cass., Sez. I, 8/02/2012, n. 1777), la sua derogabilità, non consentita neppure in caso di grave conflittualità tra i genitori (Cass., Sez. I, 29/03/2012, n. 5108), risulta possibile solo ove la sua applicazione risulti “pregiudizievole per l’interesse del minore” (Cass., Sez. I, 17/01/2017, n. 977).
E tuttavia, pur in questa impostazione che privilegia una sostanziale continuità della responsabilità genitoriale nella comune condivisione dei doveri di curare, istruire, educare ed assistere moralmente la prole che fanno capo ad entrambi i genitori anche dopo la disgregazione dell’unità familiare, la regola in parola, contrariamente a quanto postula il motivo nel denunciarne la violazione, non è foriera di alcun automatismo sul piano della concreta regolazione dei relativi rapporti.
Per restare al piano attinto dal motivo, già con riferimento all’art. 155 c.c., si era osservato che “la regola dell’affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori, prevista dall’art. 155 c.c. con riferimento alla separazione personale dei coniugi, non esclude che il minore sia collocato presso uno dei genitori (nella specie, la madre) e che sia stabilito uno specifico regime di visita con l’altro genitore” (Cass., Sez. I, 26/07/2013, n. 18131); ed analoga regola è stata ribadita anche con riferimento all’art. 337-ter c.c. del pari osservandosi nell’occasione che l’affidamento ad entrambi i genitori non osta alla collocazione del minore presso uno solo di essi, sempre però assicurando il diritto di visita del genitore non collocatario (Cass., Sez. I, 12/09/2018, n. 22219).
Ancor più esplicito – e più specifico – nello svuotare di fondamento la dispiegata doglianza si rivela poi il recente avviso ancora espresso dalla Corte circa il fatto che “in tema di affido condiviso del minore, la regolamentazione dei rapporti con il genitore non convivente non può avvenire sulla base di una simmetrica e paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con entrambi i genitori, ma deve essere il risultato di una valutazione ponderata del giudice del merito che, partendo dall’esigenza di garantire al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena, tenga anche conto del suo diritto a una significativa e piena relazione con entrambi i genitori e del diritto di questi ultimi a una piena realizzazione della loro relazione con i figli e all’esplicazione del loro ruolo educativo” (Cass., Sez. I, 13/02/2020, n. 3652).
Dunque, se è vero che la condivisione, in mancanza di serie ragioni ostative, deve comportare una frequentazione dei genitori tendenzialmente paritaria, la cui significatività non sia vanificata da frammentazioni, è altrettanto vero che nell’interesse del minore, in presenza di serie ragioni (ad esempio, come nel caso di specie, ove la distanza esistente fra i luoghi di vita dei genitori imponga al minore di sopportare tempi e sacrifici di viaggio tali da comprometterne gli studi, il riposo e la vita di relazione), il giudice può individuare un assetto nella frequentazione che si discosti da questo principio tendenziale al fine di assicurare al bambino la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena (pur essendo comunque necessario un rigoroso controllo sulle “restrizioni supplementari”, ovvero quelle apportate dalle autorità al diritto di visita dei genitori, e sulle garanzie giuridiche destinate ad assicurare la protezione effettiva del diritto dei genitori e dei figli al rispetto della loro vita familiare, di cui all’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, onde scongiurare il rischio di troncare le relazioni familiari tra un figlio in tenera età ed uno dei genitori, come indicato dalla Corte EDU 9.2.2017, Solarino c. Italia; cfr. Cass., Sez. I, 8/4/2019, n. 9764).
L’infondatezza in diritto dell’assunto ricorrente, che così si determina, non impedisce poi di vedere, allargando opportunamente lo sguardo e tenendo perciò conto che è compito del giudice stabilire in concreto, secondo il superiore interesse del minore, i modi a mezzo dei quali l’affidamento condiviso debba attuarsi, che quanto lamenta il ricorrente ha ad oggetto una tipica valutazione di fatto, sicché, come questa Corte ha già affermato, “la questione dell’affidamento della prole è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice di merito, il quale, ove dia sufficientemente conto delle ragioni della decisione adottata, esprime un apprezzamento di fatto non suscettibile di censura in sede di legittimità” (Cass., Sez. VI-I, 4/11/2019, n. 28244).
L’inammissibilità inficia invece inesorabilmente la declinazione ricorrente laddove essa imputa al decidente d’appello, sotto il duplice profilo evidenziato dal motivo, un vizio motivazionale.
La prima allegazione concreta, a fronte del compendio motivazionale che assiste la decisione e di cui si è dato conto nella pregressa narrativa di fatto, un mero dissenso argomentativo che sottrae, dunque, il dictum impugnato alla chiesta censura, tanto più considerando che esso si allinea puntualmente agli intendimenti fatti valere da questa Corte ove si dà cura di sottolineare l’interesse del minore a “potere fare fronte agli impegni scolastici con la massima serenità e con i giusti tempi di riposo… oltre a potere sviluppare la sua vita di relazione, che si traduce in impegni extrascolastici e sportivi nel luogo ove è residente”.
La seconda allegazione lamenta l’inosservanza di talune risultanze istruttorie, ma, una volta considerato che per il modo in cui la Corte decidente ha ritenuto di regolare i tempi e le modalità della permanenza di B. presso il padre è ragionevole credere che vi abbia prestato la dovuta attenzione, la formulata doglianza, per il resto, si sottrae al sindacato di questa Corte, posto che, come già si è altrove osservato, l’omesso od errato esame delle risultanze in questione non si traduce in una anomalia motivazionale denunciabile alla stregua dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, se – come innegabilmente avvenuto qui – nel provvedimento contestato sia stato dato risalto all’esigenza di assicurare la conservazione di un regolare rapporto tra il minore ed il genitore non collocatario (Cass., Sez. VI-I, 23/09/2015, n. 18817).
3. Con il secondo motivo di ricorso il T. si duole ex novo della contrarietà della decisione impugnata all’art. 337-ter c.c. nonché dell’omesso esame di fatti decisivi laddove essa ha inteso confermare il contributo di mantenimento a carico del medesimo, deducendosi che la determinazione così adottata sarebbe stata assunta “in via apodittica ed automatica” e senza tenere conto della “documentazione versata in atti e delle dichiarazioni rese dalle parti nel corso del procedimento”.
Il motivo, una volta ribaditi principi ampiamente arati (“l’affidamento condiviso dei figli minori, in quanto fondato sull’interesse esclusivo di questi ultimi, non elimina l’obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire alle esigenze di vita dei primi mediante la corresponsione di un assegno di mantenimento, ma non implica, come sua conseguenza “automatica”, che ciascuno dei due genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto ed autonomo, alle predette esigenze”, Cass., Sez. I, 10/12/2014, n. 26060; “in tema di mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, ciascun genitore deve provvedere alla soddisfazione dei bisogni degli stessi in misura proporzionale al proprio reddito e il giudice può disporre, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico, il quale, in caso di affidamento condiviso con collocamento prevalente presso uno dei genitori, può essere posto a carico del genitore non collocatario, atteso il disposto dell’art. 155 c.c., nella parte in cui prevede che la determinazione dell’assegno avvenga anche considerando i tempi di permanenza del figlio presso ciascun genitore”, Cass., Sez. I, 4/11/2009, n. 23411; “il contributo diretto da parte di ciascuno dei genitori non costituisce la regola come conseguenza diretta dell’affidamento condiviso, risultando al riguardo conferita al giudice un’ampia discrezionalità” Cass., Sez. I, 20/01/2012, n. 785), non evidenzia alcuna criticità in punto di diritto in capo alla decisione impugnata, ma è nuovamente espressione di un mero dissenso motivazionale rispetto ad un apprezzamento di fatto che, essendo frutto di una determinazione discrezionale del giudice di merito, non è ovviamente sindacabile da questa Corte, esponendosi, per di più, laddove di nuovo rimarca l’omesso esame di risultanze istruttorie, alla medesima preclusione rilevata con riguardo all’analoga doglianza enunciata con il primo motivo.
4. Il ricorso va dunque respinto, mentre le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Il procedimento è esente dal versamento del contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, comma 2, di modo che non trova applicazione il disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.