Con sentenza n. 25975, depositata il 14 settembre 2020, la sez. II Penale della Corte di Cassazione ha ribadito il seguente principio di diritto: “la  ricezione di moduli di assegni in bianco, in violazione delle norme che regolano la circolazione dei titoli di credito, rappresenta elemento logico circa la consapevolezza della provenienza delittuosa dell’assegno trattandosi di documento che, per sua natura e destinazione, è in possesso esclusivo del titolare del conto corrente o di persona dallo stesso delegata”.

Nella vicenda in esame, l’imputato si era falsamente presentato come parente di una cliente della vittima ed aveva compilato il detto titolo di credito, senza documentare la propria identità.

Durante il dibattimento, inoltre, non era stata fornita giustificazione su come l’imputato avesse ottenuto detto assegno (provento di reato) ed era stato inoltre accertato che lo stesso  neppure conosceva il proprietario del relitto “carnet”..

Conseguentemente, viene dichiarato inammissibile il ricorso che lamentava vizio di motivazione dell’impugnata sentenza  in ordine alla  consapevolezza che l’assegno fosse provento di reato, nonché l’omessa motivazione circa la buona fede dell’imputato al momento della ricezione del titolo.


Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 10 luglio – 14 settembre 2020, n. 25975
Presidente Diotallevi – Relatore Di Paola

Ritenuto in fatto

1. La Corte d’appello di Perugia, con sentenza del 22 ottobre 2018, in parziale riforma della sentenza pronunciata nei confronti di C.F. , dal Tribunale di Terni il 25 febbraio 2016, rideterminava la pena inflitta confermando il giudizio di responsabilità in ordine al delitto di ricettazione di un assegno.
2.1. Propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato deducendo, con il primo motivo, violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. B), con riferimento all’art. 648 c.p.; la sentenza non aveva motivato in relazione al profilo della consapevolezza circa la provenienza delittuosa dell’assegno utilizzato dall’imputato, omettendo di prendere in -considerazione l’ipotesi della ricezione in buona fede del titolo di credito, tenuto conto che l’assegno non era stato denunciato come rubato al momento del suo utilizzo e che il mancato pagamento del titolo era avvenuto per l’assenza di fondi.
2.2. Con il secondo motivo si deduce il vizio della motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all’art. 606 c.p.p., lett. E); la Corte d’appello non aveva fornito alcuna motivazione in grado di smentire l’ipotesi della ricezione in buona fede dell’assegno.
3. La Corte ha proceduto alla trattazione del ricorso con le modalità di cui al D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 12 ter, convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27.

Considerato in diritto

1. Entrambi i motivi di ricorso, che concernono il medesimo dato fattuale, sotto il differente profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, sono manifestamente infondati.
La sentenza impugnata si è fatta carico di esporre i dati di fatto indicativi della consapevolezza dell’imputato circa la provenienza delittuosa del titolo di credito, che era stato utilizzato per pagare il corrispettivo dell’acquisto di merce, operazione effettuata dall’imputato accreditandosi falsamente come congiunto di una cliente della vittima e compilando l’assegno prelevato dal blocchetto completo, senza esibire alcun documento di identità (adducendo di non averlo con sé) e, in ogni caso, omettendo di fornire in giudizio alcuna giustificazione in ordine alla provenienza del titolo di credito utilizzato (essendo rimasta del tutto assertiva la deduzione sulla buona fede del ricorrente, ipotizzata con riguardo alla ricezione dell’assegno per effetto di un non meglio chiarito rapporto obbligatorio).
L’apparato argomentativo risulta coerente con i dati probatori, logicamente corretto nella deduzione della consapevolezza della provenienza delittuosa (avendo, altresì, rimarcato l’assenza di rapporti di conoscenza tra l’imputato e la titolare del conto corrente per il quale era stato rilasciato il carnet); va, infatti, ricordato che in più occasioni è stato affermato il principio a mente del quale la ricezione di moduli di assegni in bianco, in violazione delle norme che regolano la circolazione dei titoli di credito, rappresenta elemento logico circa la consapevolezza della provenienza delittuosa dell’assegno trattandosi di documento che, per sua natura e destinazione, è in possesso esclusivo del titolare del conto corrente o di persona dallo stesso delegata (Sez. 2, n. 34522 del 13/06/2019, _nammiss, Rv. 276428; Sez. 2, n. 22120 del 07/02/2013, Mercuri, Rv. 255929; Sez. 2, n. 22555 del 09/06/2006, Rinaidi, Rv. 234654).
2. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di _nammissibilità’ emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro tremila a favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Motivazione semplificata.