Ieri 10/9/2020 è stata depositata la sentenza n. 25776/2020 (in calce), con la quale la seconda sezione penale della Cassazione ha ritenuto integrata l’aggravante dell’uso di un arma (nella fattispecie giocattolo).

Rammentano gli Ermellini che trattasi di aggravante che trova la sua giustificazione “nel particolare effetto intimidatorio che la presenza dell’arma apporta in concreto all’azione delittuosa“, stante la “ragionevole previsione dell’impiego dell’arma a seguito dell’eventuale resistenza alla minaccia”. 

La Corte ha altresì confermato che detta aggravante non è invece ravvisabile, laddove la persona offesa abbia solo percepito “la sensazione della presenza dell’arma“, ovvero qualora l’imputato si sia limitato a tenere in tasca una mano, così fingendo  di impugnare un’arma.

Nella vicenda in esame, la Corte ha valorizzato l’iniziale confessione resa dall’imputato in sede di interrogatorio di garanzia circa l’uso di detta arma giocattolo, ritenendo inattendibile la successiva ritrattazione, anche perché smentita dalle dichiarazioni rese dal rapinato, reputate pienamente credibili.


Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 8 luglio – 10 settembre 2020, n. 25776
Presidente Verga – Relatore Filippini

Considerato in fatto

1. La CORTE di APPELLO di BOLOGNA, con sentenza in data 22.2.2019, confermava la condanna alla pena ritenuta di giustizia pronunciata nelle forme del rito abbreviato dal TRIBUNALE di BOLOGNA, in data 19.7.2018, nei confronti di BI. Gi. in relazione al reato di rapina, ai danni di una sala giochi, dell’incasso pari ad Euro 16.435,00.
2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
– violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta ricorrenza dell’aggravante dell’uso dell’arma, affermata nonostante che l’impiego di una pistola, negato dall’imputato, sia stato solamente ipotizzato dalla persona offesa; difetta dunque adeguata certezza in relazione alla sussistenza dell’aggravante;
– violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche e di quella di cui all’art. 62 n. 4 cod.pen., nonché per la ritenuta applicazione della recidiva nonostante la confessione, la ricorrenza di effettiva resipiscenza, l’offerta di ristoro economico alla vittima e la fragile personalità dell’imputato.

Ritenuto in diritto

Il ricorso è inammissibile.
1. Quanto al primo motivo, è ben vero che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., Sez. 2, n. 4160 del 16/11/2018, Rv. 274898 – 02; Sez. 5, n. 6496 del 14/12/2011, Rv. 251949; Sez. 2 , n. 32427 del 23/06/2010, Rv. 248358 – 01), la semplice simulazione della disponibilità di un’arma non integra l’aggravante di cui all’art. 628, comma secondo, n. 3), cod. pen.; nelle richiamate sentenze questa Corte ha infatti affermato che l’aggravante non può dirsi sussistente per il solo fatto che le vittime abbiano avuto la sensazione della presenza dell’arma o quando il rapinatore, nel corso della rapina, abbia tenuto una mano in tasca, simulando la disponibilità di un’arma in realtà inesistente.
1.1. Purtuttavia, nella fattispecie il giudice d’appello ha ben chiarito, con motivazione effettiva e non certo illogica, come nella fattispecie debba considerarsi dimostrato l’effettivo impiego nella rapina di una pistola, seppure giocattolo; a tal fine sono state opportunamente valorizzate le prime ammissioni effettuate dall’imputato in occasione dell’interrogatorio di garanzia (allorché il Bi. affermò di aver utilizzato una pistola giocattolo, poi gettata), giudicando invece inattendibile e inverosimile la successiva tesi sostenuta in giudizio dall’imputato (allorché il Bi. ha detto di aver solo simulato il possesso della pistola, mediante l’esibizione del rigonfiamento di una tasca, al cui interno non vi era altro che un portafogli ingombrante). L’argomentazione logicamente offerta sul punto dalla Corte territoriale rappresenta il frutto della complessiva e attenta disamina dell’intero materiale istruttorio; in particolare, anche a voler trascurare il contenuto delle prime dichiarazioni dell’imputato, l’effettivo impiego di arma è comunque idoneamente desunta dalle affermazioni della persona offesa (Ventura Marco), giudicata pienamente credibile, dalle quali è emerso che gli è stato mostrato, da distanza assai ravvicinata, un qualcosa che è sembrato essere il calcio in legno di un revolver; immagine, quest’ultima, decisamente inconciliabile che la sola esibizione di una tasca rigonfia, che in nulla può assomigliare, specie a distanza ravvicinata, ad una impugnatura lignea di una pistola.
1.2. E dunque, in presenza di motivazione effettiva e non certo illogica relativamente alla effettiva esibizione, da parte dell’imputato, di una pistola, nessuno spazio di sindacato residua per questa Corte a proposito di un aspetto della ricostruzione del fatto.
Sicché, del tutto legittima risulta nella specie l’affermata ricorrenza dell’aggravante in parola, che trova il suo fondamento nella maggior lesività della condotta rispetto all’interesse tutelato dalla norma; e quindi, sul piano sostanziale, nel particolare effetto intimidatorio che la presenza dell’arma apporta in concreto all’azione delittuosa. Questo effetto dipende dall’induzione nella vittima della ragionevole previsione dell’impiego dell’arma a seguito dell’eventuale resistenza alla minaccia. In aderenza a questi principi, è stata ravvisata l’aggravante nella minaccia commessa da soggetto munito di arma, pur non impugnata (Sez. 2, n. 25902 del 24.6.2008, Rv.240632; Sez. 3, n. 55302 del 22/09/2016, Rv. 268535); ovvero, nella minaccia realizzata mostrando un’arma racchiusa in un fodero (Sez. 5, n. 4163 del 5.2.1980, Rv.144823). Decisivo è, in sostanza, che l’espressione della minaccia sia accompagnata dall’ostentata presenza di un’arma, della quale il soggetto agente abbia .l’immediata disponibilità, tanto da rendere credibile che la stessa sia adoperata in qualsiasi momento ed in stretta continuità con la condotta minatoria. Ciò che la Corte territoriale ha adeguatamente ritenuto essere avvenuto nella fattispecie.
2. Manifestamente infondato è il secondo motivo.
Legittimo è il diniego delle attenuanti generiche fondato da una parte sull’assenza di aspetti di meritevolezza (la confessione è stata giudicata tardiva e resa in presenza di prove schiaccianti; non vi è stato effettivo risarcimento del danno, attesa l’irrisorietà e tardività dell’offerta di Euro 1.000; esistenza di solo sporadici contatti con il Ser.T.) e, dall’altra, sulla ricorrenza di bottino non trascurabile e su plurimi precedenti penali. In tal modo il giudice di merito si è adeguato al consolidato orientamento di questa Corte, per la quale, al fine di ritenere od escludere la configurabilità di circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio: anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole od all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può, pertanto, risultare all’uopo sufficiente (così, da ultimo, Sez. 2, n. 3609 del 18 gennaio 2011, RV. 249163).
3. Parimenti adeguata è la motivazione offerta in relazione al diniego dell’attenuante ex art. 62 n. 4 cod.pen., non potendosi valorizzare il dato del risarcimento del danno operato da parte della compagnia assicuratrice della sala giochi.
4. E, quanto alla recidiva, ampia e non illogica è la motivazione offerta, che ha valorizzato la maggior pericolosità sociale di un soggetto che, pur dopo lunga carcerazione subita e positivo periodo di misura alternativa, ha inequivocamente dimostrato nuova proclività al delitto per effetto di irrisolte problematiche di dipendenza da alcool e stupefacenti.
5. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro duemila a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.