Sono ben noti i pericoli derivanti dalla circolazione viabilistica, stante l’impressionante numero di vittime della strada, annualmente registrato, spesso con morti e feriti gravi.

Meno conosciuti sono invece i rischi penali nei quali si incorre, serbando condotte discutibili, finalizzate ad agevolare terzi nel superamento della c.d. “prova di teoria”.

A solo titolo esemplificativo, sapere a chi spetti la precedenza – ovvero comprendere correttamente il significato della segnaletica orizzontale e verticale – non è una vuota formalità, ma può salvare la vita propria ed altrui.

Nella vicenda in esame due soggetti erano stati condannati in due gradi di giudizio per il tentativo di falso per induzione in atto pubblico, commesso in concorso.

In particolare, durante il test attitudinale, Tizio aveva telefonicamente suggerito a Sempronio le risposte.

I due erano stati tuttavia scoperti, con tempestivo intervento in loco delle forze dell’ordine, per cui veniva invalidato l’esito dell’elaborato, così evitando che il funzionario della motorizzazione civile venisse tratto in inganno.

Avverso la sentenza resa dalla Corte distrettuale proponeva tuttavia ricorso per cassazione il solo suggeritore, chiedendo – per quanto qui interessa – che il reato venisse riqualificato in quello (speciale rispetto al falso ideologico per induzione) previsto da una norma ad hoc: l’art. 1 L. 19/4/1925 n. 475 disciplinante la “Repressione della falsa attribuzione di lavori altrui da parte di aspiranti al conferimento di lauree, diplomi, uffici, titoli e dignità pubbliche”.

L’invocata norma, in particolare, sancisce: “ Chiunque in esami o concorsi, prescritti o richiesti da autorità o pubbliche amministrazioni per il conferimento di lauree o di ogni altro grado o titolo scolastico o accademico, per l’abilitazione all’insegnamento ed all’esercizio di una professione, per il rilascio di diplomi o patenti, presenta, come proprii, dissertazioni, studi, pubblicazioni, progetti tecnici e, in genere, lavori che siano opera di altri, è punito con la reclusione da tre mesi ad un anno. La pena della reclusione non può essere inferiore a sei mesi qualora l’intento sia conseguito.”.

Con la sentenza 25027/2020, depositata il 3 Settembre 2020 (in calce), la Quinta Sezione penale della Corte di Cassazione procede alla riqualificazione giuridica del reato, ma con motivazioni diverse da quelle indicate dal ricorrente.

Dando infatti continuità ad una precedente pronuncia, che si era occupata di una vicenda analoga (ove i suggerimenti erano avvenuti con telecollegamento), il Supremo Collegio reputa invece integrata l’ipotesi di cui all’art. 2 L. 19/4/1925 n. 475 (“Chiunque esegue o procura dissertazioni, studi, pubblicazioni, progetti tecnici, e in genere lavori per gli scopi di cui all’articolo precedente, è punito a norma della prima parte dello articolo stesso. È punito a termine del capoverso del detto articolo se l’aspirante consegua l’intento. In ogni caso la pena è aumentata da un terzo alla metà se concorra il fine di lucro; e se concorra anche l’abitualità, la pena è della reclusione da uno a tre anni.”).

Chiarisce infatti la Corte che, con l’ampio inciso “esegue … lavori”, il detto art. 2 contempla anche l’ipotesi di suggerimento orale delle risposte, onde consentire al candidato la presentazione di un elaborato, solo apparentemente da lui realizzato.

Aggiungono poi gli Ermellini che il reato in esame non richiede neppure la presentazione dell’elaborato alla commissione.

Quanto al rapporto col reato di falso per induzione, si evidenzia che debba ravvisarsi il solo delitto da ultimo menzionato (art. 2 L. 19/4/1925 n. 475), stante il principio di specialità di cui all’art. 15 codice penale.

Da quanto appena esposto discende il necessario rinvio alla Corte d’appello per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, alla luce della corretta cornice giuridica.

Se solo il candidato si fosse preparato coscienziosamente all’esame, avrebbe con tutta probabilità superato l’esame, ma sicuramente si sarebbe evitata la condanna penale per lui e per il suo complice.

Insomma, a distanza di millenni, resta valido l’adagio latino “MEMENTO STUDERE SEMPER!”, (ricordati di studiare sempre!).


Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 15 luglio – 3 settembre 2020, n. 25027
Presidente Pezzullo – Relatore Borrelli

 

Ritenuto in fatto

1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 7 gennaio 2019 dalla Corte di appello di Genova, che ha confermato la decisione del Tribunale del capoluogo ligure che aveva condannato H.T. alla pena di giustizia per concorso – con il coimputato S.S.M. , non ricorrente – in un tentativo di falso per induzione in atto pubblico. Più precisamente, l’addebito convalidato dai Giudici di merito vede l’imputato responsabile di avere suggerito, in collegamento via cellulare con il coimputato, le risposte che quest’ultimo doveva rendere ai test per la prova teorica finalizzata al conseguimento della patente di guida, non essendo stato conseguito l’intento di ingannare il funzionario preposto della Motorizzazione civile e di ottenere di conseguenza il superamento della prova grazie alle forze dell’ordine, intervenute subito dopo l’espletamento della prova, invalidandone l’esito. Oltre che l’inflizione della pena ritenuta di giustizia, alla condanna era conseguita la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena precedentemente concesso.
2. Ricorre avverso detta sentenza l’imputato a mezzo del difensore di fiducia, affidando l’impugnativa a due motivi.
2.1. Il primo motivo di ricorso deduce violazione di legge, vizio di motivazione ed errata qualificazione giuridica del fatto, sostenendo che quest’ultimo debba essere ricondotto alla fattispecie – speciale rispetto al falso ideologico per induzione – di cui alla L. 19 aprile 1925, n. 475, art. 1 giacché la condotta addebitata al ricorrente si sarebbe esaurita nella presentazione e nella predisposizione di lavori non propri.
2.2. La sentenza – giusto quanto si legge nel secondo motivo di ricorso – sarebbe altresì affetta da violazione di legge e vizio di motivazione avuto riguardo alla disposta revoca della sospensione condizionale della pena. In virtù della riqualificazione invocata nel primo motivo, la pena dovrebbe essere rideterminata in mitius, con possibilità di nuova concessione della sospensione ex artt. 164 c.p., comma 4 e art. 163 c.p. e conseguente venir meno dei presupposti per la revoca.
3. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato perché la norma invocata dal ricorrente attiene a tutt’altra situazione fattuale.

Considerato in diritto

1. Il reato ascritto all’imputato va riqualificato in quello di cui alla L. 19 aprile 1925, n. 475, art. 2 e la sentenza impugnata deve essere, di conseguenza, annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Genova per la sola rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
1. Il primo motivo di ricorso deduce violazione di legge, vizio di motivazione ed errata qualificazione giuridica del fatto, sostenendo che quest’ultimo debba essere ricondotto alla fattispecie speciale, rispetto al falso ideologico per induzione, di cui alla L. 19 aprile 1925, n. 475, art. 1.
1.1. La norma invocata recita “Chiunque in esami o concorsi, prescritti o richiesti da autorità o pubbliche amministrazioni per il conferimento di lauree o di ogni altro grado o titolo scolastico o accademico, per l’abilitazione all’insegnamento ed all’esercizio di una professione, per il rilascio di diplomi o patenti, presenta, come propri, dissertazioni, studi, pubblicazioni, progetti tecnici e, in genere, lavori che siano opera di altri, è punito con la reclusione da tre mesi ad un anno. La pena della reclusione non può essere inferiore a sei mesi qualora l’intento sia conseguito”.
È necessario, tuttavia, considerare che esiste altra disposizione della L. n. 425 – non menzionata dall’impugnante – che appare di interesse in questa sede. Si tratta dell’art. 2, secondo cui “Chiunque esegue o procura dissertazioni, studi, pubblicazioni, progetti tecnici, e in genere lavori per gli scopi di cui all’articolo precedente, è punito a norma della prima parte dell’articolo stesso. È punito a termine del capoverso del detto articolo se l’aspirante consegua l’intento”.
Detta disposizione è stata ritenuta applicabile, da questa Corte, anche ad un caso assolutamente sovrapponibile a quello in esame. Sez. 5, n. 26438 del 30/03/2017 (imputato Pisanelli e altro, Rv. 270536) ha, infatti, ritenuto la configurabilità della fattispecie a carico del soggetto telecollegato con il candidato al superamento dell’esame teorico per il conseguimento della patente di guida, posto che – come si legge in motivazione – “la norma in oggetto punisce chi procura lavori altrui (e le risposte date al questionario non erano state elaborate dall’esaminando e costituivano pertanto un elaborato altrui)”. Tale fattispecie è stata ritenuta consumata, giacché il conseguimento dell’intento – nel caso di specie l’ottenimento della patente di guida – costituisce circostanza aggravante, non essendo neppure necessaria, per la consumazione del reato ex art. 2, la presentazione alla commissione esaminatrice della scheda d’esame.
Orbene, il Collegio condivide e fa propria detta esegesi, secondo cui il “procurare lavori” può consistere anche nel fornire oralmente al candidato, che debba affrontare la prova scritta, la risposta alle domande, sì da consentirgli il confezionamento di una prova presentata come propria, la cui paternità, invece, non gli appartiene.
1.2. Si pone, pertanto, il paventato problema del concorso apparente di norme, tra la disciplina speciale e quella codicistica, in quanto disciplinanti la stessa materia, potendo in astratto anche il falso per induzione trovare applicazione nella specie, giacché le attività fraudolente – identificantesi nella presentazione di un lavoro altrui – erano tese ad indurre l’ignaro pubblico ufficiale deputato al rilascio delle patenti di guida ad attestare falsamente l’esistenza dei presupposti per l’abilitazione alla guida, tra cui certamente si iscrive il superamento della prova scritta che, invece, non era riferibile al candidato, ma ad un terzo.
Ebbene, detto concorso può essere risolto, in ossequio all’art. 15 c.p., secondo il principio di specialità, dovendo trovare applicazione la norma speciale, da identificarsi in quella di cui alla L. n. 475, art. art. 2 (nel senso della specialità, Sez. 5, n. 2740 del 04/10/2016, dep. 2017, Colella, Rv. 268862), che tende a reprimere precipuamente il segmento di condotta attraverso il quale si attribuisce al candidato il lavoro altrui ed a tutelare l’interesse dello Stato alla genuinità dell’elaborato (Sez. 6, n. 9489 del 22/02/1995, Ragusa, Rv. 202287), evidentemente funzionale alla corretta attestazione, da parte dell’organo competente, della sussistenza dei requisiti di legge.
1.3. Occorre, quindi, riqualificare la condotta in quella di cui alla L. n. 475 del 1925, art. 2 e rinviare al Giudice di merito per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio. La questione della sospensione condizionale della pena è assorbita.

P.Q.M.

riqualificato il fatto ascritto all’imputato in quello di cui alla L. 19 aprile 1925, n. 475, art. 2 annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Genova per nuovo esame.