Con ordinanza 18075/20 (depositata oggi 31 agosto 2020 e riportata in calce) la Sesta Sezione civile della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un legale, condannandolo al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, nonché al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

In breve: il detto avvocato imputava la deflessione dei suoi incassi al mancato inserimento del proprio nominativo nelle Pagine Bianche e quindi conveniva in giudizio la Telecom, chiedendo il risarcimento del danno asseritamente subito.

In primo grado il Tribunale riconosceva la fondatezza della domanda e condannava la Telecom a risarcire all’attore il danno, liquidato in € 14.000,00=, oltre alla corresponsione dell’indennizzo di € 64,32=, dovuto in forza delle condizioni generali di contratto.

Successivamente la Corte d’Appello, in accoglimento dell’impugnazione proposta dalla precitata Società, riformava totalmente la sentenza di primo grado, ritenendo non … fornita la prova della riconducibilità della lamentata flessione del volume d’affari del professionista all’omesso inserimento dell’utenza di costui nell’elenco abbonati”, ben compatibile con molteplici ulteriori possibili cause ed – in primis – con la sottoscrizione di un abbonamento “… per la categoria “residenziale” e non per quella “affari”, con la mancanza della dicitura avvocato o studio legale affiancata al nominativo”.

Infine, il sopra indicato legale proponeva ricorso in Cassazione avverso la sentenza di secondo grado, con censure dichiarate inammissibili dal Supremo Collegio, giacchè attinenti al giudizio di fatto, insindacabile in tale sede.


 

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 16 giugno – 31 agosto 2020, n. 18075
Presidente Amendola – Relatore Scoditti

Rilevato che:

An. Pi. Br. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Agrigento Telecom Italia s.p.a. chiedendo il risarcimento del danno cagionato dal mancato inserimento dell’utenza a suo nome nell’elenco telefonico Pagine Bianche per l’anno 2011. Il Tribunale adito accolse la domanda, condannando la convenuta al pagamento della somma di Euro 14.000,00, oltre Euro 64,32 a titolo di indennizzo da condizioni generali di contratto. Avverso detta sentenza propose appello Telecom Italia. Con sentenza di data 18 marzo 2019 la Corte d’appello di Palermo accolse l’appello, riducendo l’importo dovuto da Telecom Italia ad Euro 64,32, oltre interessi.
Osservò la corte territoriale che la circostanza che l’abbonamento fosse stato stipulato per la categoria “residenziale” e non per quella “affari”, con la mancanza della dicitura avvocato o studio legale affiancata al nominativo dell’utente, ridimensionava l’effetto di pubblicità dell’attività professionale assolto dall’inserimento nell’elenco degli abbonati e che tale effetto era vieppiù ridotto considerando che: l’utenza telefonica dopo il trasferimento era rimasta immutata; con riguardo ai nuovi clienti, le condizioni di inserimento in elenco non avrebbero comunque permesso a chi fosse alla ricerca di un legale di inferire la professione svolta dal Br.; il ruolo centrale del telefono cellulare. Aggiunse che non era stata quindi fornita la prova della riconducibilità della lamentata flessione del volume d’affari del professionista all’omesso inserimento dell’utenza di costui nell’elenco abbonati, a tale risultato potendo concorrere numerose ed eterogenee variabili, quali lo spostamento dello studio o la modifica del foro di appartenenza, fra l’anno 2009-10 (Agrigento) e l’anno 2011 (Caltanissetta), e non ultimo il carattere squisitamente personale della professione forense.
Ha proposto ricorso per cassazione An. Pi. Br. sulla base di due motivi e resiste con controricorso la parte intimata. Il relatore ha ravvisato un’ipotesi d’inammissibilità del ricorso. Il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte e sono seguite le comunicazioni di rito. E’ stata presentata memoria.

Considerato che:

con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 1218 e 1223 cod. civ.. Osserva il ricorrente che, stante l’inadempienza all’obbligo di indicazione dell’indirizzo di ubicazione dell’utenza, oltre l’indennizzo spetta il risarcimento del danno lamentato in relazione ai nuovi clienti e che non si comprende perché la mancata indicazione di “avvocato” avrebbe escluso la possibilità di nuovi contatti professionali. Aggiunge che tale omissione ha determinato una limitazione della possibilità di nuovi contatti professionali quale perdita di chance, essendo un fatto notorio che l’omissione in discorso determini una maggiore difficoltà.
Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 1227 e 2697 cod. civ.. Osserva il ricorrente che non vi era stata modifica del foro di appartenenza e che non era stato specificato come tale modifica avesse potuto contrarre gli affari. Aggiunge che il concorso di cause non esclude il nesso di causalità e che il giudice di merito avrebbe dovuto accertare l’efficienza causale di una delle altre cause indicate.
Va premesso che la parte controricorrente ha depositato e notificato ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ. la procura giustificativa dei poteri del procuratore speciale di Telecom Italia s.p.a.
I motivi, da valutare unitariamente in quanto connessi, sono inammissibili. Le censure attingono il giudizio di fatto, profilo che in quanto tale non è sindacabile nella presente sede di legittimità.
L’accertamento dell’esistenza del nesso eziologico spetta al giudice di merito (Cass. n. 14358 del 2018), mentre compete a questa Corte, salvo il sindacato in ordine alla denuncia di vizio motivazionale, il controllo se nello svolgimento del giudizio di fatto il giudice di merito abbia rispettato le connotazioni normative del rapporto causale fra condotta e danno. Il ricorrente non si duole del mancato rispetto delle coordinate normative del nesso eziologico ma del mancato riconoscimento dell’esistenza di tale nesso. In tali limiti la censura corrisponde ad un’istanza di rivalutazione del giudizio di merito, inammissibile nella presente sede di legittimità.
Anche allorquando il ricorrente denuncia l’erroneo disconoscimento del nesso eziologico, che non sarebbe escluso dal concorso di cause, ciò che egli censura è il giudizio di fatto. Il giudice di appello non ha infatti valutato il concorso di cause, ha più precisamente escluso in partenza, con valutazione di merito qui non sindacabile, l’efficacia eziologica dell’inadempienza lamentata.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 – quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.