Due soggetti erano stati condannati alla pena ritenuta di giustizia, per il reato di cui all’art. 73 c. 1 D.P.R. 309/1990 che, all’epoca, prevedeva la pena minima di anni 8 di reclusione, oltre a quella pecuniaria.

Durante l’espiazione della pena, era stata emessa la sentenza n. 40/2019 con la quale la Corte Costituzionale aveva dichiarato l’incostituzionalità di detta norma, limitatamente alla determinazione del limite edittale di pena in anni otto, anziché sei di reclusione.

Alla luce di quanto appena esposto, la Procura della Repubblica aveva chiesto al Giudice dell’esecuzione di rideterminare “in melius” le pene di cui sopra.

Tali istanze venivano però rigettate, avendo il Giudice dell’esecuzione ritenuto legali e congrue le pene inflitte (rispettivamente pari e prossima al minimo di pena dichiarato incostituzionale), anche in relazione alla sopravvenuta modifica della cornice edittale, per effetto dell’indicata pronuncia del Giudice delle leggi.

Conseguentemente, i legali dei condannati chiedevano al Supremo Organo decidente l’annullamento delle ordinanze per violazione di legge delle

Con due sentenze c.d. “gemelle” (23727 e 23728, depositate il 10 Agosto 2020) la Cassazione accoglie i ricorsi, ribadendo che “nel caso in cui la pena inflitta non sia stata interamente espiata, va compiuta la rideterminazione della pena, da parte del giudice dell’esecuzione, applicando la normativa risultante dalla dichiarazione di incostituzionalità”, come da costante insegnamento delle Sezioni Unite penali.

Ciò, al fine di garantire “la necessaria proporzione tra gravità del fatto e profilo soggettivo del reo, da una parte, e misura della pena, dall’altra”, inevitabilmente pregiudicata dalla pronuncia di merito, resa in base ad una norma successivamente dichiarata incostituzionale.

Precisano poi gli Ermellini che il giudice dell’esecuzione non dovrà limitarsi ad una “mera trasposizione matematica di quel giudizio (formulato in sede di cognizione) entro la nuova cornice edittale”, ma dovrà invece compiere un vero e proprio “nuovo giudizio commisurativo”.


 

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 8 luglio – 10 agosto 2020, n. 23727
Presidente Iasillo – Relatore Bianchi

 

Ritenuto in fatto

  1. Con ordinanza depositata in data 12.7.2019 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Udine, quale giudice dell’esecuzione, ha respinto la richiesta, proposta dal pubblico ministero, di rideterminazione, a seguito della declaratoria, pronunciata con sentenza n. 40/2019 della Corte costituzionale, di incostituzionalità del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 nella parte in cui stabilisce il minimo edittale in anni otto di reclusione invece che in anni sei di reclusione, della pena inflitta a M.M. con sentenza pronunciata, in data 5.6.2017, dalla medesima autorità giudiziaria.
    M.M. era stato ritenuto responsabile della detenzione, a fini di spaccio, di gr. 16 di cocaina, e di altri episodi connessi, fatti commessi dal (omissis) , ed era stata applicata, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., la pena di 3 anni, 10 mesi e 27 giorni di reclusione ed Euro 12.400 di multa.
    Ritenuto più grave il reato di detenzione al fine di spaccio di grammi 33 di cocaina, commesso in data 27.10.2016, la pena base era stata fissata in anni otto di reclusione ed Euro 27.000 di multa, diminuita per le attenuanti generiche alla pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione ed Euro 18.000 di multa, aumentata per la continuazione di mesi sei e giorni dieci di reclusione ed Euro 600 di multa e quindi alla pena complessiva di anni cinque, mesi dieci e giorni 10 di multa ed Euro 18.600 di multa, ridotta per il rito alla pena finale già indicata.
    L’ordinanza ha rilevato che la pena inflitta risultava legale e congrua anche alla luce della nuova cornice edittale, tenuto conto della ripetitività della condotta di spaccio.
    2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di M.M. , chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione di legge.
    L’ordinanza aveva, senza adeguata motivazione, ritenuto congrua pena commisurata in misura pari al minimo edittale ritenuto incostituzionale.
    3. Il Procuratore generale ha chiesto l’annullamento, con rinvio, dell’ordinanza impugnata.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato, e va perciò annullata, con rinvio, l’ordinanza impugnata.
1. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 40 del 23 gennaio 2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, nella parte in cui prevede un minimo edittale di otto anziché sei anni di reclusione.
Questa sezione ha già ripetutamente esaminato le questioni giuridiche poste dalla richiesta di rideterminazione, in executivis, della pena inflitta (sentenze 19.7.2019, n. 41933; 12.11.2019, n. 3280/20; 14.11.2019, n. 1805/20; 19.11.2019, n. 50135; 20.11.2019, n. 51085; 26.11.2019, n. 4088/2020; 4.12.2019, n. 6183/20; 6.12.2019, n. 5550/20; 10.12.2019, n. 3301/20; 17.12.2019, n. 1814/20).
Con riguardo al rapporto tra il giudicato e la dichiarazione di incostituzionalità della norma, attinente il trattamento sanzionatorio, applicata dalla sentenza di condanna divenuta irrevocabile, è consolidato l’orientamento secondo il quale, nel caso in cui la pena inflitta non sia stata interamente espiata, va compiuta la rideterminazione della pena, da parte del giudice dell’esecuzione, applicando la normativa risultante dalla dichiarazione di incostituzionalità (Sez. Un. 18.10.2013, n. 18821/2014, Ercolano; Sez. Un. 29.5.2014, Gatto).
Anche con riferimento agli effetti della menzionata pronuncia costituzionale vengono in rilievo i principi già affermati dalla giurisprudenza (Sez. Un. 26.2.2015, Marcon; Sez. Un. 26.2.2015, Jazouli; Sez. Un. 26.2.2015, Sebbar) in relazione alla vicenda che, a seguito della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, aveva riguardato il trattamento sanzionatorio dei reati concernenti le così dette droghe leggere, fattispecie pure interessate da una modifica in melius del minimo edittale (“tornato” ad anni due di reclusione invece che ad anni sei di reclusione).
In particolare, si è affermata la illegalità della pena commisurata sulla base di una cornice edittale incostituzionale, a prescindere dal fatto che la pena sia stata determinata in termini conformi alla cornice edittale costituzionale.
La pronuncia n. 40/2019 ha mantenuto inalterato il massimo edittale (anni venti di reclusione), limitando l’intervento innovativo al minimo edittale, che è stato ritenuto costituzionale in misura ridotta di quasi un terzo (sei anni invece che otto anni).
La rideterminazione in melius della pena inflitta, da parte del giudice dell’esecuzione, è dunque necessaria tutte le volte in cui il giudice della cognizione ha commisurato la pena in misura prossima a quel minimo edittale, poi dichiarato incostituzionale.
In tali casi è evidente che il giudizio compiuto in sede di cognizione, parametrato su un dato normativo incostituzionale, non assicura la necessaria proporzione tra gravità del fatto e profilo soggettivo del reo, da una parte, e misura della pena, dall’altra.
Quanto alla natura del giudizio riservato, in tali fattispecie, al giudice dell’esecuzione si è precisato che non si tratta di una operazione di mera trasposizione matematica di quel giudizio (formulato in sede di cognizione) entro la nuova cornice edittale, bensì di un nuovo giudizio commisurativo, da operare alla stregua dei principi di cui agli artt. 132 e 133 c.p. e con i limiti che, di seguito, si indicano.
Innanzitutto, la discrezionalità del giudice dell’esecuzione opera, laddove il giudizio formulato nella cognizione era stata parametrato con riferimento al minimo edittale incostituzionale e non, invece, al massimo edittale, nell’ambito del giudizio di riduzione della pena, e dunque non può essere inteso come autonoma commisurazione della pena.
Inoltre, il giudice dell’esecuzione deve tener conto delle componenti, attinenti il trattamento sanzionatorio, già riconosciute in sede di cognizione, e anche ove frutto, nell’an, di una valutazione discrezionale, come è il caso delle attenuanti generiche e del giudizio di bilanciamento tra circostanze.
Con riferimento, infine, al quantum di pena, anche nei diversi passaggi della determinazione del trattamento sanzionatorio – individuazione della pena base, applicazione delle circostanze, aumento per la continuazione, eventuale riduzione ai sensi dell’art. 444 ovvero 442 c.p.p. – il giudice dell’esecuzione è vincolato quanto al risultato finale, che deve pervenire ad una pena più mite, ed opera con discrezionalità ai sensi degli artt. 132 e 133 c.p..
Il limite costituito dalla necessità che il risultato del rinnovato giudizio commisurativo sia in favorem rei deriva dalla ratio del particolare istituto processuale, finalizzato ad eliminare gli effetti, sfavorevoli per il condannato, della applicazione di una norma dichiarata incostituzionale.
Con specifico riguardo al caso in cui la illegalità della pena riguardi, anche ovvero esclusivamente, un aumento di pena nella continuazione, essendo la fattispecie in tema di stupefacenti un così detto reato satellite, è stato chiarito (Sez. Un. 26.2.2015, Sebbar) che si deve procedere a una rivalutazione del complessivo trattamento sanzionatorio, alla luce della più favorevole cornice edittale determinata dalla pronuncia costituzionale.
Infatti, anche nella determinazione in concreto del quantum di aumento da apportare per i singoli reati satellite, deve comunque procedersi a una preliminare valutazione di gravità, ai sensi dell’art. 133 c.p., in rapporto al parametro sanzionatorio legale.
Dunque, anche tale porzione di pena, ove commisurata in relazione ad una cornice edittale incostituzionale, deve essere rideterminata in melius.
2. Nel caso in esame, si deve procedere alla rideterminazione, in executivis, della pena già inflitta all’esito del giudizio di cognizione, nel quale il giudice, conoscendo di reati concernente le così dette droghe pesanti commessi in data 27.10.2016, aveva applicato la norma dichiarata incostituzionale fissando la pena base in anni otto di reclusione ed Euro 27.000 di multa.
La decisione di non procedere alla rideterminazione in melius della pena inflitta nel giudizio di cognizione costituisce violazione della L. n. 87 del 1953, art. 30 che impone la rideterminazione, anche in esecuzione, della pena, non interamente espiata, che sia stata inflitta applicando una norma dichiarata incostituzionale.
Si è ricordato che il giudice dell’esecuzione è tenuto alla rideterminazione della pena per eliminare il (sopravvenuto) carattere di illegalità della pena inflitta, e gli è riconosciuta discrezionalità nella determinazione del quantum della riduzione di pena.
3. Va dunque pronunciato annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Udine, perché proceda a nuovo esame dell’istanza proposta, facendo applicazione dei principi di diritto supra esposti.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al G.I.P. del Tribunale di Udine.


 

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 8 luglio – 10 agosto 2020, n. 23728
Presidente Iasillo – Relatore Bianchi

 

Ritenuto in fatto

  1. Con ordinanza depositata in data 8.7.2019 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Udine, quale giudice dell’esecuzione, ha respinto la richiesta, proposta dal pubblico ministero, di rideterminazione, a seguito della declaratoria, pronunciata con sentenza n. 40/2019 della Corte costituzionale, di incostituzionalità del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 nella parte in cui stabilisce il minimo edittale in anni otto di reclusione invece che in anni sei di reclusione, della pena inflitta a D.D. con sentenza pronunciata, in data 28.11.2018, dalla Corte di appello di Trieste.
    D.D. era stato ritenuto responsabile della detenzione, a fine di spaccio, di gr. 404 di cocaina, fatto commesso in data 12.9.2017; era stata inflitta la pena di anni cinque e mesi dieci di reclusione ed Euro 20.000 di multa, così determinata: pena base anni 8 e mesi 9 di reclusione ed Euro 30.000 di multa; ridotta per il rito abbreviato alla pena sopra indicata.
    L’ordinanza ha rilevato che la pena inflitta risultava legale e congrua anche alla luce della nuova cornice edittale, tenuto conto del quantitativo della sostanza stupefacente.
    2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di D.D. , chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione di legge.
    L’ordinanza aveva, senza adeguata motivazione, ritenuto congrua pena, che era stata commisurata in misura prossima al minimo edittale ritenuto incostituzionale.
    3. Il Procuratore generale ha chiesto l’annullamento, con rinvio, dell’ordinanza impugnata.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato, e va perciò annullata, con rinvio, l’ordinanza impugnata.
1. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 40 del 23 gennaio 2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, nella parte in cui prevede un minimo edittale di otto anziché sei anni di reclusione.
Questa sezione ha già ripetutamente esaminato le questioni giuridiche poste dalla richiesta di rideterminazione, in executivis, della pena inflitta (sentenze 19.7.2019, n. 41933; 12.11.2019, n. 3280/20; 14.11.2019, n. 1805/20; 19.11.2019, n. 50135; 20.11.2019, n. 51085; 26.11.2019, n. 4088/2020; 4.12.2019, n. 6183/20; 6.12.2019, n. 5550/20; 10.12.2019, n. 3301/20; 17.12.2019, n. 1814/20).
Con riguardo al rapporto tra il giudicato e la dichiarazione di incostituzionalità della norma, attinente il trattamento sanzionatorio, applicata dalla sentenza di condanna divenuta irrevocabile, è consolidato l’orientamento secondo il quale, nel caso in cui la pena inflitta non sia stata interamente espiata, va compiuta la rideterminazione della pena, da parte del giudice dell’esecuzione, applicando la normativa risultante dalla dichiarazione di incostituzionalità (Sez. Un. 18.10.2013, n. 18821/2014, Ercolano; Sez. Un. 29.5.2014, Gatto).
Anche con riferimento agli effetti della menzionata pronuncia costituzionale vengono in rilievo i principi già affermati dalla giurisprudenza (Sez. Un. 26.2.2015, Marcon; Sez. Un. 26.2.2015, Jazouli; Sez. Un. 26.2.2015, Sebbar) in relazione alla vicenda che, a seguito della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, aveva riguardato il trattamento sanzionatorio dei reati concernenti le così dette droghe leggere, fattispecie pure interessate da una modifica in melius del minimo edittale (“tornato” ad anni due di reclusione invece che ad anni sei di reclusione).
In particolare, si è affermata la illegalità della pena commisurata sulla base di una cornice edittale incostituzionale, a prescindere dal fatto che la pena sia stata determinata in termini conformi alla cornice edittale costituzionale.
La pronuncia n. 40/2019 ha mantenuto inalterato il massimo edittale (anni venti di reclusione), limitando l’intervento innovativo al minimo edittale, che è stato ritenuto costituzionale in misura ridotta di quasi un terzo (sei anni invece che otto anni).
La rideterminazione in melius della pena inflitta, da parte del giudice dell’esecuzione, è dunque necessaria tutte le volte in cui il giudice della cognizione ha commisurato la pena in misura prossima a quel minimo edittale, poi dichiarato incostituzionale.
In tali casi è evidente che il giudizio compiuto in sede di cognizione, parametrato su un dato normativo incostituzionale, non assicura la necessaria proporzione tra gravità del fatto e profilo soggettivo del reo, da una parte, e misura della pena, dall’altra.
Quanto alla natura del giudizio riservato, in tali fattispecie, al giudice dell’esecuzione si è precisato che non si tratta di una operazione di mera trasposizione matematica di quel giudizio (formulato in sede di cognizione) entro la nuova cornice edittale, bensì di un nuovo giudizio commisurativo, da operare alla stregua dei principi di cui agli artt. 132 e 133 c.p. e con i limiti che, di seguito, si indicano.
Innanzitutto, la discrezionalità del giudice dell’esecuzione opera, laddove il giudizio formulato nella cognizione era stata parametrato con riferimento al minimo edittale incostituzionale e non, invece, al massimo edittale, nell’ambito del giudizio di riduzione della pena, e dunque non può essere inteso come autonoma commisurazione della pena.
Inoltre, il giudice dell’esecuzione deve tener conto delle componenti, attinenti il trattamento sanzionatorio, già riconosciute in sede di cognizione, e anche ove frutto, nell’an, di una valutazione discrezionale, come è il caso delle attenuanti generiche e del giudizio di bilanciamento tra circostanze.
Con riferimento, infine, al quantum di pena, anche nei diversi passaggi della determinazione del trattamento sanzionatorio – individuazione della pena base, applicazione delle circostanze, aumento per la continuazione, eventuale riduzione ai sensi dell’art. 444 ovvero 442 c.p.p. – il giudice dell’esecuzione è vincolato quanto al risultato finale, che deve pervenire ad una pena più mite, ed opera con discrezionalità ai sensi degli artt. 132 e 133 c.p..
Il limite costituito dalla necessità che il risultato del rinnovato giudizio commisurativo sia in favorem rei deriva dalla ratio del particolare istituto processuale, finalizzato ad eliminare gli effetti, sfavorevoli per il condannato, della applicazione di una norma dichiarata incostituzionale.
Con specifico riguardo al caso in cui la illegalità della pena riguardi, anche ovvero esclusivamente, un aumento di pena nella continuazione, essendo la fattispecie in tema di stupefacenti un così detto reato satellite, è stato chiarito (Sez. Un. 26.2.2015, Sebbar) che si deve procedere a una rivalutazione del complessivo trattamento sanzionatorio, alla luce della più favorevole cornice edittale determinata dalla pronuncia costituzionale.
Infatti, anche nella determinazione in concreto del quantum di aumento da apportare per i singoli reati satellite, deve comunque procedersi a una preliminare valutazione di gravità, ai sensi dell’art. 133 c.p., in rapporto al parametro sanzionatorio legale.
Dunque, anche tale porzione di pena, ove commisurata in relazione ad una cornice edittale incostituzionale, deve essere rideterminata in melius.
2. Nel caso in esame, si deve procedere alla rideterminazione, in executivis, della pena già inflitta all’esito del giudizio di cognizione, nel quale il giudice, conoscendo di reato concernente le così dette droghe pesanti commesso in data 12.9.2017, aveva applicato la norma dichiarata incostituzionale fissando la pena base in anni otto e mesi nove di reclusione ed Euro 30.000 di multa.
La decisione di non procedere alla rideterminazione in melius della pena inflitta nel giudizio di cognizione costituisce violazione della L. n. 87 del 1953, art. 30 che impone la rideterminazione, anche in esecuzione, della pena, non interamente espiata, che sia stata inflitta applicando una norma dichiarata incostituzionale.
Si è ricordato che il giudice dell’esecuzione è tenuto alla rideterminazione della pena per eliminare il (sopravvenuto) carattere di illegalità della pena inflitta, e gli è riconosciuta discrezionalità nella determinazione del quantum della riduzione di pena.
3. Va dunque pronunciato annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Udine, perché proceda a nuovo esame dell’istanza proposta, facendo applicazione dei principi di diritto supra esposti.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al G.I.P. del Tribunale di Udine.